L’angelica Tromba

lo strumentario della Divina Commedia

Accostandosi alla Divina Commedia, si è investiti da un’enorme ricchezza linguistica e immaginifica che Dante Alighieri ha saputo infondere nella sua più alta composizione. In un turbinio di metafore, che spesso affondano a piene mani nella terminologia musicale, il sommo poeta crea sapienti sinestesie tra occhio e orecchio, indirizzando la mente del lettore verso la vividezza delle situazioni e dei personaggi ritratti.

Non può sfuggire l’approfondita conoscenza di Dante per tutto l’universo musicale e per le implicazioni filosofiche cui esso rimanda. Infatti, benché l’unico strumento che risuoni veramente in tutta la Divina Commedia sia lo shofar, il corno biblico, le allusioni musicali all’interno dei versi sono numerose e investono sia la musica eseguita che la speculazione musicale astratta. Dante riprende infatti, la tripartizione della musica espressa da Severino Boezio (IV-V sec.) nella sua dalla Consolatio philosophiae: cioè musica instrumentalis (strumentale o vocale), musica humana (scaturita dall’armonia tra corpo e spirito), musica mundana (l’armonia delle “Sfere Celesti”).

Attraversando le tre Cantiche del poema, si nota infatti una precisa logica nell’evoluzione della musica, come a sottolineare l’ascesa verso la purificazione percorsa dal sommo poeta nel suo cammino: dai fragori dell’Inferno si giunge alla estasi musicale del Paradiso, così perfetta che si può percepire solo con il sentimento e non con l’orecchio e l’intelletto.

I passi che riportano il nome o la funzione degli strumenti musicali sono numerosissimi, come ad esempio quello dell’idropico mastro Adamo, dalla pancia gonfia come un liuto, “Io vidi un,  fatto a guisa di liuto, / Pur ch’egli avesse avuta l’anguinaia / Tronca dal lato, che l’uomo ha forcuto”, percossa poi come un tamburoE l’un di lor che si recò a noia / Forse d’esser nomato sì oscuro, / Col pugno gli percosse l’epa croia. / Quella sonò, come fosse un tamburo”; o quello del gigante Nembrod col suo immenso shofar, “E il Duca mio ver lui: Anima sciocca, / Tienti col corno, e con quel ti disfoga, / Quand’ira o altra passion ti tocca”; e ancora l’arpaE come giga e arpa, in tempra tesa / Di molte corde fan dolce tintinno / A tal da cui la nota non è intesa”, il canto e l’organoTale immagine appunto mi rendea / Ciò ch’io udiva, qual prender si suole, / Quando a cantar con organi si stea; / Ch’or sì, or no s’intendon le parole”, la cetraE come a buon cantor buon citarista / Fa seguitar lo guizzo della corda, / In che più di piacer lo canto acquista; / Sì mentre che parlò, mi si ricorda”, la liraQualunque melodia più dolce suona / Quaggiù, e più a sè l’anima tira, / Parrebbe nube che squarciata tuona, / Comparata al sonar di quella lira”.

Dante cita addirittura i nomi di alcuni musicisti, come Bertram dal Bornio, Arnautz o Folco (i trovatori Bertran de Born, Arnaut Daniel e Folquet de Marseilla), o ancora l’amico Casella che gli canta “Amor che nella mente mi ragiona”.

Ma è proprio la tromba (e gli strumenti a lei affini, le tube e i corni) l’unico strumento che si ritrova menzionato lungo tutte le tre Cantiche:

  • E il duca disse a me: Più non si desta / Di qua dal suon dell’angelica tromba, / Quando vedrà la nimica podesta: / Ciascun ritroverà la trista tomba” (Inferno).
  • O immaginativa, che ne rube / Tal volta sì di fuor, ch’uom non s’accorge / Perchè d’intorno suonin mille tube, / Chi muove te, se il senso non ti porge?” (Purgatorio).
  • Come all’ultimo suo ciascuno artista. / Cotal, quale io la lascio a maggior bando / Che quel della mia tuba, che deduce / L’ardua sua materia terminando” (Paradiso).

Attraverso la terminologia e le metafore usate, Dante traccia una sorta di scenografia sonora non solo ad indicare la topografia delle anime nella tripartizione Inferno, Purgatorio e Paradiso, confinando le famiglie degli strumenti in uno specifico “locus circumstantiarum”, ma anche, come in uno spettacolo teatrale,  una e vera e propria caratterizzazione delle situazioni e dei personaggi incontrati, sottolineandone aspetti che la forma sonora, con acuta sintesi, riesce a descrivere meglio di mille parole.

La nostra “Lectura Dantis” ricalca proprio questa tecnica, così sapientemente utilizzata dal sommo poeta, per costruire uno spettacolo che da un lato fa riscoprire un aspetto spesso trascurato della Divina Commedia, ponendo l’accento sui passi in cui maggiormente si addensano i temi e le metafore sonoro-musicali, e da un altro, attraverso il suono e la musica vera e propria, cerca di suscitare un’emozione, non filtrata dall’intelletto, che fa arrivare le parole della Commedia dritte al cuore dello spettatore.

 

Marco Muzzati: voce recitante, percussioni, adattamento e regia

I Fiati Gloriosi: ensemble di trombe barocche e ottoni romantici

Michele Santi: tromba solista e concertatore